Archivio News

Concerto di musica sacra in memoria di Monsignor Giancarlo Setti

Firenze
Sabato 22 settembre, ore 21
Chiesa di San Filippo Neri
Piazza San Firenze

Gabriel Fauré
REQUIEM
in re min. Op. 48
per soli, coro e orchestra da camera (versione 1893)

GAMS Ensemble
Gruppo Polifonico Quodlibet
Vocalia Consort Soprano Elena Mariani
Baritono Filippo Becattini

Organista Francesco Giannoni

Direttore Massimo Annibali

Maestro del coro Gianni Franceschi
SCARICA IL PROGRAMMA

«Ho scritto il mio Requiem senza motivo… per il piacere di farlo, se così posso dire. È stato eseguito alla Madeleine per le esequie di un parrocchiano qualunque». «Si è detto che quest'opera non esprime il terrore della morte; qualcuno l'ha chiamata una berceuse funebre. Eppure è così che io sento la morte: come una lieta liberazione, un'aspirazione alla felicità dell'aldilà e non un doloroso trapasso».«Può darsi che io abbia tentato di uscire dalle convenzioni, dopo tutti gli anni in cui ho accompagnato all'organo le funzioni funebri. Ho voluto fare un'altra cosa».Gabriel Fauré

Felicemente assurto a una meritata notorietà per il suo pregevole valore, il Requiem di Fauré è pagina dalla straordinaria politezza formale che una finissima scrittura, attenta al dosaggio dei timbri, esalta ulteriormente. Vi dilaga un clima assorto, e sotto il profilo armonico il Requiem rivela una singolare miscela di tonalità e modalismo.
Improntata a quella raffinatezza tipica di buona parte della produzione di Fauré, la composizione risulta pervasa da una dolce soavità: talora si espande in puro lirismo, talaltra presenta tratti dal limpido andamento salmodiante avvolti da un'arcaicizzante patina. Quasi del tutto scevra da inquietanti trasalimenti, la partitura del Requiem possiede una sua sobria bellezza; fin dalle prime misure aleggia un'atmosfera di immota contemplazione e di partecipe intimismo. Sicché è possibile riconoscervi non già il riflesso tragico connesso al pensiero della morte, bensì quasi l'evocazione classicheggiante dei Campi Elisi. L'autore stesso – che attese alla prima versione tra il 1887 e il 1888 – alcuni anni più tardi si espresse con notevole lucidità; difendendosi da chi lo accusava di aver composto una pagina di spirito quasi pagano, egli rivendicò infatti la propria personale visione: «Si è detto che l'opera non esprime il terrore della morte, qualcuno l'ha chiamata una berceuse funebre. Ma è così che io sento la morte: come una lieta liberazione, un'aspirazione alla felicità dell'aldilà e non come un trapasso doloroso». Ripensando poi alla propria pluridecennale presenza alla consolle degli organi di numerose chiese parigine, tra le quali Saint-Sulpice e soprattutto la Madeleine, aggiungeva con un pizzico d'ironia: «quanto al mio Requiem può darsi benissimo che io abbia tentato di uscire dalle convenzioni, con tutti gli anni che accompagno all'organo le funzioni funebri! Ne ho fin sopra i capelli. Ho voluto fare pertanto altra cosa». All'epoca Fauré ignorava – ma forse l'aveva intimamente desiderato – come le note del ‘“suo” Requiem avrebbero accompagnato le solenni esequie che, alla sua scomparsa nel novembre del 1924, la cultura francese volle tributargli.
Nella sua prima redazione il Requiem comprendeva solamente cinque parti, Introït et Kyrie, Sanctus, Pie Jesu, Agnus Dei, In Paradisum, in luogo delle definitive sette sezioni; la prima esecuzione ebbe luogo il 16 gennaio 1888. Grazie alla pubblicazione dell'epistolario è stato possibile ricostruire la gestazione del Requiem che, nella sua veste definitiva, deriva dall'accostamento di brani di epoche diverse. Così l'Agnus e il Sanctus furono composti nel gennaio del 1888, a poco meno di un mese dalla morte della madre di Fauré. Pressoché coevi parrebbero anche i manoscritti dell'Introït et Kyrie e dell'ultimo brano, pur non essendo datati. L'autografo del Pie Jesu andò perduto al pari delle altre due parti aggiunte: ne resta traccia nella corrispondenza; si sa che il Libera me venne inserito solo nel 1892, ma in realtà a quell'epoca, allestendo la versione definitiva del Requiem (che egli stesso diresse alla Madeleine il 21 gennaio 1893) Fauré si limitò a orchestrare tale pagina composta per baritono e organo già nel 1877, all'epoca del suo infelice fidanzamento con Marianne Viardot. Risulta smarrito anche l'autografo dell'Offertoire condotto a termine nel giugno dell'89.
Inizialmente Fauré orchestrò il Requiem limitandosi agli archi di registro più grave, ai quali aggiunse un violino solista (nel Sanctus) e inoltre timpani, arpa e organo. In seguito egli rivide radicalmente la strumentazione, ampliando l'organico, forse su richiesta dell'editore Hamelle; inserì flauti, clarinetti, fagotti, corni, trombe e tromboni, prevedendo inoltre il raddoppio degli archi gravi con i violini. Se la pagina acquistò certo una maggiore brillantezza, specie in taluni momenti, peraltro almeno in parte venne meno quel carattere di raccolto intimismo, tratto peculiare di questo Requiem dalle soffuse gradazioni, permeato inoltre da una singolare sovrabbondanza melodica.
L'equilibrata alternanza di blocchi corali e interventi solistici è evidente fin dall'Introït avviato da un fantomatico unisono, poi le voci iniziano a sillabare con eterea delicatezza. Prevale un trascolorante substrato armonico intessuto di raffinate modulazioni; l'atmosfera di serena pacatezza non viene turbata nemmeno da alcune frementi scansioni proclamate dal coro sull'invocazione Exaudi, né da un paio di settime diminuite, affidate alle poderose sonorità dell'organo e intercalate al Kyrie: unico momento di tensione all'interno del brano destinato a riconquistare poi la misteriosa quiete iniziale.
Nell'Offertoire a una breve introduzione strumentale segue un diafano canone di contralti e tenori dall'eccezionale purezza timbrica; il brano si affida poi alla calda voce del baritono circonfuso da sinuose armonie. Quindi la riapparizione del coro conduce al sublime Amen dagli arcaicizzanti stilemi.
Liquidi arpeggi nel Sanctus sostengono la luminosa melodia delle voci chiare intrecciate con grazia a un violino concertante. Sfolgoranti incisi risuonano nell'Hosanna, ma è un intervento fuggevole, destinato a essere riassorbito nel clima di poetica leggerezza che predomina nel brano, con la ricomparsa del cullante moto arpeggiato.
Leratiche sequenze di accordi modali caratterizzano l'intervento del soprano nell'accorato Pie Jesu, vero fulcro espressivo dell'intera partitura, mentre l'Agnus, non privo di increspature e accensioni drammatiche, si segnala per l'elegante itinerario armonico. In chiusura riappaiono gli elementi iniziali del Requiem. «Con le sue ostinate e martellanti pulsazioni del basso nota Arthur Hoérée – il cupo Libera me reca una nota tragica». Il baritono si abbandona a un appassionato lirismo e il coro vi si oppone con afflitti accenti. La pagina raggiunge il culmine nel minaccioso Dies Irae enfatizzato dalle brunite sonorità degli ottoni; quindi il baritono riafferma ancora la dolente afflizione del brano.
Sicché ancor più vistoso appare il contrasto con la stupenda sezione conclusiva (In Paradisum) dove una limpida serenità predomina in assoluto. Un'ineffabile commozione si sprigiona da questa pagina sublime che, più di ogni altra, incarna l'idea della morte professata dal compositore. All'arcana linea melodica delle voci femminili, sostenute da celestiali e ipnotici arpeggi dell'organo, si uniscono i timbri vocali scuri, sicché il brano, con sorprendente effetto, acquista maggior “spessore” nella zona mediana. Quindi le luci si attenuano e la toccante pagina si smorza dolcemente ribadendo quel particolare colore espressivo che dell'incantevole Requiem costituisce il motivo di maggior fascino.


Attilio Piovano

Dal programma di sala del concerto tenuto al Lingotto di Torino mercoledì 11 settembre 2002
In ricordo delle vittime delle Torri Gemelle